SVERGOGNATA

O del bisogno di riconquistare il proprio sguardo su noi stessə

Domenica scorsa ho chiuso la tournée invernale di SVERGOGNATA, spettacolo nato nel 2014, che trovo ancora spaventosamente attuale per la storia della sua protagonista. Una donna che vuole riconquistare ad ogni costo lo sguardo di approvazione del marito e degli altri su se stessa.

Quando lo scrissi ero in un periodo delicato della mia vita, non mi ero resa conto che Chicca, la protagonista, fossi io. Come lei, sembrava avessi tutto per essere felice! Un marito che amavo da 16 anni e con cui avevo sormontato una brutta crisi un paio d’anni prima, una bella casa di proprietà, amici e parenti amorevoli. E rispetto alla mia personaggia, avevo anche un bel lavoro con un discreto successo.

Eppure, anche io come lei, non ero felice! 

“come fai a non essere felice?!”

Non ne parlavo, da un lato perché pensavo che l’insoddisfazione dentro di me fosse solo un mio problema, dall’altro perché ero convinta che parlandonesarei passata per un’ingrata che non apprezza quello che ha.

Mi ero convinta dipendesse da me, perché non ero abbastanza “brava moglie” dato che continuavo a lavorare più spesso in Italia che a Parigi; non ero però nemmeno abbastanza “brava attrice in francese” e quindi non potevo fare spettacoli in quella lingua; non ero poi così “abbastanza” tante cose.

Per rincorrere quel “brava abbastanza” che soddisfacesse tutti, passavo quindi la vita sugli aerei così da restare solo il minimo indispensabile in Italia per lavoro, per non lasciare troppo solo lui, poverino, ecco perché non resti incinta, ecco perché siete in crisi etc…

Correvo per cercare una soluzione che mi facesse sentire “brava abbastanza”, correvo convinta il problema fossi io, dovessi risolverlo io, ma l’unico problema è che non mi fermavo a riflettere sul perché dovessi cercare solo io una soluzione soddisfacente per tutto e tutti. E soprattutto io, cosa pensavo?

bisogna fermarsi.

Scrivere SVERGOGNATA mi ha fatto capire quanto ancora troppo conti il giudizio altrui, quanto si tenda a cercare lo sguardo di approvazione altrui dimenticandoci del nostro. Sarà che la società in cui siamo immersi è una società della performance che ci spinge costantemente ad essere belli, di successo, felici e possibilmente anche ricchi. Una società che ci fa credere non sia salutare fermarsi. Quello invece che oggi so, grazie al percorso fatto in passato e anche grazie ai feedback del pubblico, è che abbiamo invece bisogno di fermarci, di guardarci e di chiederci:

“ma tu, Anto, vuoi essere abbastanza brava a…?”

No, sinceramente no, preferirei essere… (riempire a piacere)